Eccessiva durata del processo ed indennizzo previsto dalla Legge Pinto

Tramite il blog riceviamo spesso messaggi di utenti che lamentano la eccessiva durata delle loro cause, con questo post vogliamo informarvi della procedura prevista dalla Legge n. 89 del 2001, meglio conosciuta come “Legge Pinto” .

Grazie a questa norma (che il governo con la “legge di stabilità 2016”  ha appena modificato  nel tentativo di limitare  ancora una volta l’accesso a questa speciale tutela che ci è stata imposta dalla Corte europea dei diritti dell’uomo) la persona chi ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale a causa dell’eccessiva durata di un processo, ed indipendentemente dalla sorte di questo ( quindi non conta se si è vinto o perso la causa) può chiedere allo Stato una equa riparazione.

La domanda, che deve avere la forma del ricorso, dalla recente riforma va proposta , a pena di decadenza, entro sei mesi da quando la decisione che ha concluso il procedimento è diventata definitiva, al presidente della Corte d’ Appello del distretto in cui ha sede il giudice innanzi al quale si è svolto il primo grado del processo. Per la presentazione del ricorso è necessaria l’assistenza di un avvocato e per questo tipo di cause i costi sono solitamente molto contenuti e sempre più spesso addirittura non vi sono costi, infatti molti studi solitamente si accordano con un c.d. patto di quota lite, in modo che il cittadino possa iniziare la procedura di indennizzo anche senza il versamento di alcun acconto iniziale dividendo ( secondo percentuali precedentemente concordate) con il professionista quanto sarà liquidato a titolo di risarcimento. [Per richieste di valutazione della vostra situazione specifica e per un preventivo , contattateci tramite questa pagina].

QUANDO SI PUÒ PARLARE DI IRRAGIONEVOLE DURATA ?
Generalmente processo non deve eccede la durata di:
– tre anni in primo grado,
– due anni in secondo grado,
– un anno nel giudizio di legittimità (Cassazione)
Si considera rispettato il termine ragionevole se il procedimento di esecuzione forzata si è concluso in tre anni, e se la procedura concorsuale si è conclusa in sei anni.
Si considera comunque rispettato il termine ragionevole se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni.

Tali termini si calcolano dal deposito del ricorso introduttivo o dalla notifica della citazione per le cause civili, mentre nelle cause penali da quando l’indagato, in seguito a un atto dell’autorità giudiziaria, ha avuto conoscenza del procedimento penale a suo carico. [Vedi sentenza Corte Costituzionale n. 184 del 23 luglio 2015].

A QUANTO PUÒ AMMONTARE IL RISARCIMENTO ?
Il giudice liquida a titolo di equa riparazione una somma di denaro, non inferiore a € 400 e non superiore a € 800 , per ciascun anno, o frazione di anno superiore a sei mesi, che eccede il termine ragionevole di durata del processo ( prima della recente riforma il risarcimento di cui sopra andava da € 500 ad € 1500 ) tali somme possono essere aumentate dal 20 al 40% se il termine è sforato  rispettivamente di oltre 3 o oltre 7 anni.
Per fare un esempio, in una causa civile durata 10 anni , il superamento della ragionevole durata è di 4 anni e pertanto si avrà diritto ad un indennizzo che va dai 1.600,00 ai 3.200,00 Euro.
La misura dell’indennizzo, non può in ogni caso essere superiore al valore della causa o, se inferiore, a quello del diritto accertato dal giudice.

 QUANDO NON SI PUÒ OTTENERE L’INDENNIZZO?

La recente e criticabile riforma ha introdotto una serie di limitazioni alla procedura appena illustrata , l’art. 2 della legge Pinto infatti sancisce l’inammissibilità della domanda nel caso in cui non siano stati esperiti i c.d. rimedi preventivi alla irragionevole durata del processo.

Questi rimedi che sono indicati al precedente art. 1-ter della Legge in commento sono cintando testualmente la norma “[…] nei processi civili costituisce rimedio preventivo a norma dell’articolo 1-bis, comma 1, l’introduzione del giudizio nelle forme del procedimento sommario di cognizione di cui agli articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile. Costituisce altresì rimedio preventivo formulare richiesta di passaggio dal rito ordinario al rito sommario a norma dell’articolo 183-bis del codice di procedura civile, entro l’udienza di trattazione e comunque almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini di cui all’articolo 2, comma 2-bis. Nelle cause in cui non si applica il rito sommario di cognizione, ivi comprese quelle in grado di appello, costituisce rimedio preventivo proporre istanza di decisione a seguito di trattazione orale a norma dell’articolo 281-sexies del codice di procedura civile, almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini di cui all’articolo 2, comma 2-bis. Nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale, il giudice istruttore quando ritiene che la causa può essere decisa a seguito di trattazione orale, a norma dell’articolo 281-sexies del codice di procedura civile, rimette la causa al collegio fissando l’udienza collegiale per la precisazione delle conclusioni e per la discussione orale.” E nei procedimenti penali “L’imputato e le altre parti del processo penale hanno diritto di depositare, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, un’istanza di accelerazione almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini di cui all’articolo 2, comma 2-bis.

In pratica con questa riforma, lasciatemelo dire, il governo ammette che il processo di cognizione, ovvero il nostro processo ordinario ha e può avere una durata irragionevole e  pertanto chi ricorre al processo ordinario non ha diritto ad alcun indennizzo se per la definizione della causa sono necessari un numero di anni che supera abbondantemente il termine di irragionevole durata del processo stabilito dalla corte europea dei diritti dell’uomo, si mette il cittadino ad un bivio da una parte la giustizia ordinaria con processi per stessa ammissione legislativa irragionevoli in violazione dei diritti dell’uomo e senza alcuna possibilità di indennizzo, dall’altra una giustizia sommaria l’unica per cui in caso di eccessiva durata del processo sarà possibile ottenere l’ indennizzo previsto dalla legge 89/2001 e soprattutto dall’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che riconosce ad ogni persona il diritto a vedere la sua causa esaminata e decisa entro un lasso di tempo ragionevole, come componente del diritto ad un equo processo.

Ancora una volta siamo di fronte a politiche del risparmio che sono ben lontane dagli interventi riformatori di cui il nostro sistema necessita. Sarà interessante vedere l’orientamento della CEDU che già aveva mostrato forti perplessità in riferimento alle modifiche introdotte dal governo monti nel 2012 e che comunque erano molto meno lesive dei diritti dei cittadini rispetto a queste ultime.

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